E’ un disordine dermatologico che causa la formazione sulla pelle di macchie bianche, cioè aree in cui manca del tutto la fisiologica colorazione dovuta al pigmento della pelle, la melanina, a causa dell’inattività dei melanociti (cellule predisposte alla formazione della melanina). Si tratta di una malattia asintomatica e NON CONTAGIOSA, aspetto che è bene chiarire, poiché è una patologia che può avere implicazioni psicologiche nei pazienti e comprometterne i rapporti sociali. L’andamento di questa malattia è cronico e “capriccioso”, perché le lesioni possono rimanere stabili per anni o progredire rapidamente. L’origine è sconosciuta (anche se si sospettano fattori autoimmuni e/o predisposizione genetica), né sono noti fattori scatenanti o favorenti anche se è stata documentata un’incidenza maggiore tra componenti della stessa famiglia e fattori di stress che danno il via alla manifestazione primaria della vitiligine o alla sua recrudescenza dopo periodi – anche lunghi – di stasi. Testimonianza della possibile patogenesi autoimmunitaria è sicuramente la presenza, in individui affetti, di altre patologie autoimmuni a carico della tiroide.
La diagnosi si effettua tramite esame obiettivo e strumentale. La luce di Wood consente di effettuare la diagnosi differenziale con altre ipocromie, poiché le chiazze di vitiligine emettono una caratteristica fluorescenza biancastra. Test laboratoristici sono invece test di funzionalità tiroidea e pancreatica, nonché la ricerca di anticorpi anti-dsDNA, anti-ANA, anti-ENA, anti-muscolo liscio, anti-tireoglobulina, anti-gliadina, anti-mucosa gastrica.
Anche se sono stati fatti passi da gigante, la cura della vitiligine richiede tempi lunghi e pazienza. Il trattamento di questa patologia sfrutta gli effetti fotobiologici dei raggi ultravioletti UVA e UVB, come avviene a seguito dell’esposizione solare.
Modernamente, per la cura della vitiligine, viene impiegata la fototerapia UVB a banda stretta che offre il vantaggio di non utilizzare farmaci.
I tempi di cura variano da soggetto a soggetto, anche in base alla gravità della patologia. Normalmente sono richieste sedute bi o trisettimanali per periodi prolungati. La seduta dura pochi minuti e il paziente potrà subito tornare alle proprie occupazioni.
Il paziente deve avere cura di avvertire il dermatologo nel caso utilizzi prodotti topici o farmaci di qualunque tipo che possano indurre fotosensibilizzazione. Vengono inoltre utilizzati con successo trattamenti che vanno ripetuti nel tempo, come l’uso di immunosoppressori come steroidi e tacrolimus.